FIORE STYLE
SALA VS CUCINA
LE DUE FACCE DI FIORE A CONFRONTO. INTERVISTA DOPPIA CON IL DIRETTORE E LO CHEF

Anche ad un visitatore distratto i due principali protagonisti di Fiore sono subito individuabili.

Il primo, perché appena varcato l’ingresso, ti viene incontro immediatamente, il completo impeccabile, il sorriso costante e lo sguardo vigile e attento a carpire quel desiderio inespresso che, realizzato, ti mette subito a tuo agio.

Il secondo, domina e regna sulla splendida cucina a vista, sguardo sempre in fuga a cercare e correggere possibili difetti, mani che lavorano piatti che sono opere d’arte, gesti muti ma eloquenti, passione che trasforma la materia prima in piatti da ammirare e gustare.

Il direttore Giulio Vallorani (D) e lo chef Matteo Cavoli (C) sono le due anime di Fiore in sala e in cucina. Fiore prende meravigliosamente corpo grazie a loro: conosciamoli meglio e proviamo a capire cosa si nasconde dietro questa formula vincente!

  • Quali sono state le tappe principali della vostra vita professionale prima di arrivare qui da Fiore?

D: Ho iniziato all’estero, in Inghilterra per la precisione, parecchi anni fa e poi sono rientrato in Italia. Prima di arrivare da Fiore ho lavorato al Convivio-Troiani.

C: Ho capito subito che la facoltà di Economia a cui mi ero iscritto non faceva per me. Ho dato ascolto alla mia passione per la cucina e iniziato a studiare alla scuola Alma di Parma dove ho appreso la disciplina militaresca che serve in cucina. Poi una formazione continua sul campo mi ha reso lo chef che sono. Presso il ristorante Da Caino ho imparato cosa vuol dire l’amore per la terra e l’umiltà, la mattina presto ci alzavamo per raccogliere i prodotti che ci servivano direttamente nell’orto. Mentre al Convivio-Troiani ho scoperto i segreti e la magia del servizio espresso.

  • Qual è l’idea alla base del ristorante Fiore e cos’è Fiore oggi?

D: La base da cui parte Fiore è l’immensa passione per lhealthy food e il cibo di qualità, mantenendosi distante da qualsiasi estremismo e accogliendo anche e soprattutto il comfort food che ci serve per stare bene. Fiore è un format vincente che punta ad un mercato ancora tutto da esplorare.

C: Fiore è un divenire stimolante, sia per il nuovo concetto di cucina che rappresenta, sia perché è un progetto nuovo nato da poco con gioia e passione. L’idea alla base è quella di far conoscere il regime alimentare flexiteriano, uno stile di vita che coniuga vecchio e nuovo, che mette insieme cibo sano e comfort food e che punta a nutrire con gusto partendo dall’immenso patrimonio enogastronomico italiano. Una cucina sana, leggera ma gustosa che si affaccia su un mercato ancora vergine, un panorama nuovo.

  • Tre aggettivi/parole per definire il ristorante Fiore

D: Qualità, benessere, felicità.

C: Nuovo, fresco, gustoso.

  • È stato amore a prima vista?

D: La prima cosa che ho pensato è stata “sistemerei qualcosa”, ma è deformazione professionale.

C: Non è stato un colpo di fulmine, perché calarsi nel progetto non è stato semplice. Fiore è un amore nato piano piano, un’occasione di crescita costante. Oggi colgo il privilegio di quello che mi può ispirare la cucina crudista, scopro come riutilizzare e fare mio il nostro splendido forno a vapore. Rielaboro e invento.

  • Tre cose che guardate quando entrate in un ristorante

D: l’accoglienza per me è fondamentale, la luminosità del locale e la presenza di fiori freschi. Poi mi siedo e parte tutto il resto.

C: il menù, ovviamente, in primis. Poi non vado mai in un ristorante senza informarmi sulla cucina oppure ci vado proprio perché già conosco lo chef e sono incuriosito dal provare i suoi piatti. Come terza cosa mi soffermo sull’ambiente circostante: la luminosità del locale la ritrovo nel piatto, nella scelta degli ingredienti, nel complesso dei sapori. Un luogo più cupo, infatti, si riflette in una cucina forte. La grandezza di uno chef non si misura solo in cucina, ma trascende e invade tutto il ristorante.

  • Cucina e Sala: eterno conflitto o binomio perfetto?

D: È una sincronia difficile da creare e mantenere, ci vuole impegno, sono note scritte sul pentagramma del rispetto.

C: Più che eterno conflitto, direi “quasi amici”! Personalmente, mi piace molto una nuova pratica che sta spopolando in nord Europa, in molti ristoranti è lo chef che porta il piatto in tavola. Ecco, l’idea che sia lo chef a parlare del proprio piatto, a presentarlo, a raccontarlo, mi attrae.

  • Qual è quel quid che rende una sala praticamente perfetta? E una cucina?

D: Una sala funziona quando tra colleghi c’è affiatamento e voglia di migliorare e migliorarsi.

C: In cucina sono necessarie umiltà e motivazione, senza non si va da nessuna parte.

  • Tre aggettivi o parole per descrivere lo chef Matteo/il direttore Giulio

D: Estroso, competente, un amico.

C: Passione, esperienza e l’abilità nel gestire qualsiasi situazione si presenti in sala.

  • Piatto preferito in menù

D: Par condicio vuole che indichi almeno due piatti per non scontentare nessuno! Della cucina mediterranea apprezzo molto il tagliolino rosso dal nome “Quella bottarga di alice”, del raw food amo i “Ravioli di rapa rossa”.

C: Se proprio devo scegliere, oggi mangerei il “Maialino nel granturco”.

  • Per farvi arrabbiare basta…

D: Non sopporto il disinteresse per il lavoro che bisogna portare avanti.

C: Molto poco! In realtà più di tutto negligenza e mancanza di buon senso.

  • Il cliente ha sempre ragione?

D: Ha sempre un motivo…

C: Ni! La cosa fondamentale è che alla base ci sia il rispetto per il lavoro degli altri.

 

Ma a noi non bastano le loro risposte, per cui indagando abbiamo scoperto cosa i colleghi dicono di loro…

D: Diplomatico e flessibile, ha trasmesso entusiasmo nei ragazzi che ha scelto, ama le sfide.

C: Rigoroso e preciso, è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via, in cucina si diverte sempre.